Andrea Nanni – “La danza contemporanea? non ci si capisce niente!”

Mooveo decide di dedicare questo post al pensiero di Andrea Nanni, pubblicato su ADAC toscana il primo ottobre 2010. Nanni argomenta la frase che spesso si sente pronunciare dopo aver assistito a uno spettacolo di danza contemporanea: “La danza contemporanea? Non ci si capisce niente”.  Il pubblico vorrebbe capire ogni dettaglio, vuole portarsi a casa qualcosa, vuole avere in mano un significato, dice Nanni. E se un balletto non ha nulla di preciso e concreto da consegnare a chi osserva, il pubblico resta smarrito. Io aggiungo che la bellezza di un corpo che danza è la ricerca di mille modi di comunicare e la ricerca di significati infiniti. Una perdita di concretezza.

Potrebbe davvero bastare l’emozione? Andrea Nanni conclude così:

“Ma possiamo contare su qualche parametro, qualche indicatore a cui fare riferimento quando ci inoltriamo nei territori in cui la danza contemporanea ci invita ad avventurarci? Il primo indicatore è l’emozione. Emozionare viene da e-moveo, che significa “spostare da”. L’emozione ci coglie dunque quando veniamo spostati dalle nostre certezza, quando ci rendiamo disponibili a correre dei rischi. Compito del mediatore culturale dovrebbe essere quello di aiutare il pubblico a rendersi permeabile all’emozione, ad avventurarsi in una zona in cui pulsa qualcosa che sfugge alla logica (e quindi spesso alle parole) ma che ci appartiene e ci rende più umani. A capire che l’arte – tutta l’arte, in ogni sua manifestazione- è tale proprio perché non può essere ridotta a un sistema di significati.”

Non mi resta che suggerirvi la lettura delle preziose testimonianze citate da Nanni nel suo articolo.

“Ogni scena si delinea come un insieme di significati che si completano e si contraddicono. Nessun elemento è interpretabile in modo isolato e univoco, anche le affermazioni apparentemente inequivocabili vengono accompagnate dalla sfumatura del dubbio.”

Pina Bausch

 “Mi piacerebbe entrare in teatro senza sapere nulla e uscirne sapendo ancora meno. Occorre desiderare l’interpretazione errata come una forma di salvezza da noi stessi e da tutti quelli che ci circondano. L’architettura della coreografia è diventata una prigione. Bisogna disfarsi dell’interpretazione”.

William Forsythe

Il movimento “è” in quanto movimento ritmico – IL JOVA

“Sentire il corpo, ascoltarlo, muoversi, sentirne i lamenti e scoprirne i punti forti, sentirsi con il corpo dentro il paesaggio e confondere la fatica della pedalata con la fatica della terra che gira su se stessa e poi intorno al sole fino a girare come se fosse un anello della concatenazione dei satelliti e delle stelle degli elettroni e dei nuclei e scoprire nel movimento rotondo la chiave del movimento in avanti.”

Jovanotti

IL GRANDE BOH! – 1998

ASCOLTO e IMPROVVISAZIONE – Art For Business

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Bello, Giusto, Efficace. 

Forum Art For Business dell’edizione dell’ottobre 2010. Decido di condividere questi due interessanti scritti riguardanti due parole molto vicine al movimento.

Un buon punto di vista da cui può partire un movimento o chissà cos’altro!

buona lettura!

ASCOLTO.

Fabio Vacchi, compositore di musica colta contemporanea, s’interroga sul senso della parola “ascolto”, non nell’accezione ormai vuota o imbarbarita (si pensi, per esempio agli ascolti auditel, ossia il numero di telespettatori televisivi), bensì a quel processo che ci permette di cogliere parti di noi che non conosciamo o che non vogliamo conoscere e che l’opera porta allo scoperto. Durante le giornate del Forum, a partire da questo incontro verrà suonato, da alcuni musicisti di  Sentieri Selvaggi, il brano “Orna buio ciel”. Vacchi ci chiede di rimanere disponibili, come i bambini, ad accogliere la provocazione e a notare come durante ognuna delle quattro ripetizioni del brano le nostre sensazioni, le nostre emozioni, si modificheranno. È questo l’ascolto che ci accresce, che ci permette di apprendere: quello in cui immagazziniamo, quello che ci arriva, senza preconcetti. Per questo tipo di ascolto è indispensabile l’intenzionalità, i suoni devono essere convertiti in idee e immagini; è necessaria la capacità di creare silenzio interiore, perché, come sosteneva Goethe, “La buona musica non si ferma alle orecchie, ma quando è tale continua a risuonare nell’anima”. È quindi necessaria un’estrema disposizione ad accettare ciò che arriva dall’esterno. Il che implica un sentimento di fiducia, una disponibilità a cambiare e a confrontarsi, perché l’arricchimento deriva, appunto, dal raffronto tra la nostra visione del mondo e quella che gli artisti ci forniscono. Il compito della musica colta è quindi quello di tenere in vita questa preziosità dell’ascolto, questa capacità di conoscerci rispetto al mondo, che è alla base della cultura. Il dato incoraggiante, secondo Vacchi, è che, nonostante il continuo allarmismo per l’indifferenza per il patrimonio culturale musicale, questa è continuamente smentita dal fiume umano dei concerti, troppo poco manipolabile perché lo si voglia considerare.

IMPROVVISAZIONE.

Questo è stato il termine affidato alla frizzante sceneggiatrice Laura Curino. Il significato di questo parola rimanda ad un concetto che si avvicina alla capacità di inventare qualcosa sul momento, su due piedi. Per i latini significava guardare con gli occhi della mente, mentre per i moderni si avvicina all’idea di sorpresa, a un atto compiuto senza meditazione. Alla base dell’improvvisazione c’è l’avvenimento imprevisto ed è l’elemento che caratterizza il teatro; l’improvvisazione serve a raggiungere un determinato obiettivo ed è l’elemento portante per aiutare l’attore ad immedesimarsi nel personaggio che deve rappresentare. Nominare gli elementi, conoscerli per nome, improvvisare significa possedere un catalogo ampio di soluzioni possibili, battezzate con cura, per poterle richiamare e comporre. Ciò che lo chef fa ogni giorno nella sua cucina, inventando un nuovo modo di far assaggiare qualcosa che già c’è, non brevettando nulla di nuovo, ma proponendo moderne combinazioni, che al palato appaiono con squisite novità.